Tre attori in scena. Due al di qua di un velatino il terzo al di là a regalarci una performance perfetta di teatro d'ombre con figura umana.
Il motore dello spettacolo è la narrazione, quella di una voce over che si inventa incipit improbabili, mimati/interpretati dal mimo/ombra (esilarante la lancia che penetra un veneziano e poi il veneziano che penetra la lancia) e quella dei due attori al di qua del velatino. I due attori che provano variazioni di umore e intensità sulle stesse battute, si inventano personaggi, sbagliano le prove di uno spettacolo, si lamentano di una noia atavica, si accasciano mentre dietro il velatino appare il mimo ombra, interpretano (a volte in maniera troppo stereotipata) personaggi da commedia (una coppia che parla un italiano con un improbabilissimo accento inglese), da teatro dell'assurdo (la confessione di un giovane portatore di papillon a un improbabile prete con corona di lucine in testa) senza essere mai colpiti da curiosità tranne quella di vedere cosa c'è oltre il velatino.
Qual è la realtà e quale la finzione?
Qual è il livello narrativo più concreto e quale quello più simbolico, più recitato, più organizzato?
La risposta finale sorprende per l'eleganza e l'inventiva coinvolgendo anche chi manovra la consolle (il mixer delle luci e dell'audio) popolato da un personaggio che abbiamo appena visto in scena in un teatro di burattini.
Una messinscena eseguita con precisione - anche se i due attori "al di qua" non hanno affatto una dizione da accademia e pronunciano papillon con la l ("papilion") invece del corretto "papijon".
Manca però allo spettacolo una vera drammaturgia.
Al di là del discorso metateatrale Déjà Vu rimane al confine tra la spettacolo comico, senza mai esserlo solamente, e commedia che vuol far pensare il suo pubblico sui rapporti tra recitazione e racconto, tra vita e sua rappresentazione, tra personaggi maschili senza mai però andare al di là di qualche cenno, di una bozza, di una intenzione mai davvero sviluppata.
Un discorso che si fa profondo dal lato della rappresentazione ma che annaspa nella drammaturgia in un cortocircuito di "situazioni" prive di una vera ragion d'essere.
Danno poi fastidio alcuni riferimenti all'omosessualità fatti in chiave comica, o come esempi per assurdo (ma ti pare io frocio e tossicomane?) perché, così decontestualizzati, risultano triti e discriminatori, così come infastidiscono alcune caratterizzazioni dei tanti personaggi a tratti troppo smaccatamente ovvie e quasi televisive.
Alla verve performativa dello spettacolo davvero notevole e godibile manca un ancoraggio testuale che dia consistenza alle situazioni presentate che, così come sono, rimangono aleatorie e prive di una vera urgenza comunicativa.
Un plauso all'attore al di là del velatino che si prende gli applausi rimanendo ombra.
Roma Fringe Festival 2014 - Déjà Vu